SE LA LOTTA È UN FUOCO, IO BRUCERÒ PER L’ETERNITÀ.
Jan Palach, studente di filosofia, il 16 Gennaio del 1969, a Piazza San Venceslao nel centro di Praga, scelse di diventare la “torcia” e trasformarsi in quel simbolo di resistenza civile e antisovietica: si diede fuoco come atto estremo della protesta contro il comunismo, il quale invadeva, a suon di carri armati e militari, la Cecoslovacchia, impedendo a quel territorio di andare avanti con la “Primavera di Praga” e proseguire verso un socialismo socialismo più moderno, dal “volto umano” e che andasse oltre la volontà del totalitarismo comunista.
Quel cambiamento civile veniva fermato militarmente dall’URSS in un vero e propio bagno di sangue, proprio in quegli anni dove – come scrisse il giornalista Marcello Veneziani – “I sessantottini incendiavano il mondo pensando a sé stessi, mentre Jan Palach incendiava sé stesso pensando al mondo”.
Palach morì in ospedale dopo tre giorni di agonia, il 19 gennaio 1969 alle ore 15:30, a causa delle complicazioni dovute alle ustioni riportate. Ai medici Palach disse d’aver preso ispirazione dai monaci buddhisti vietnamiti, come il caso di Thích Quảng Ðức, che si diede fuoco per protestare contro la dittatura del Vietnam del Sud.
Oggi, nell’anniversario della sui morte, il cuore europeo torna a battere con migliaia di giovani che rendono memoria ad un simbolo di resistenza generazionale.
«Non dobbiamo essere troppo presuntuosi. Non dobbiamo avere un’opinione troppo grande di noi. L’uomo deve lottare contro quei mali che può affrontare con le sue forze.»
In memoria di Jan Palach, martire della nostra Europa.
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