OLTRE LA DEPRESSIONE GIOVANILE
Parlare di un tema del genere è estremamente complesso, sia per una questione psicologico-scientifica, sia per una questione morale, che mette a dura prova la nostra sensibilità, parte della nostra vita e del nostro modo di percepire le cose.
È inutile però nascondersi dietro un dito e far finta di nulla: il termometro della salute giovanile diventa sempre più vacillante; siamo abituati ad un’esistenza sempre più misera e condannata al fatalismo più totale.
Gli studi degli ultimi due anni dimostrano quanto i giovani (dai 12 ai 32 anni) siano sempre più diretti verso impulsi autodistruttivi (la cronaca nera parla purtroppo anche di questo).
Facendo un viaggio all’interno di un mondo sempre più globalizzato e individualista, la domanda è: da dove si parte e dove si può arrivare?
È giusto dire che il malessere generico fa parte della nostra vita e su questo non possiamo farci niente (a differenza di chi vive ancora nel mondo dei fiorellini e pensa che vada tutto bene), ma il giovane medio tende ad appiattirsi molto quando una serie di dinamiche sociali viene meno e certi contesti, familiari e ambientali, diventano ingestibili e troppo pesanti da sopportare.
Non si tratta più del solito discorso – a volte interpretato non del tutto bene dalla sinistra – del semplice benessere psicologico; la nostra è una società altamente problematica, che rischia di implodere da un momento all’altro. Un qualcosa che già prima della situazione di “emergenza pandemica” non funzionava e che, dopo quasi 3 anni passati tra lockdown, Green Pass e guerre, porta avanti quel clima di disfattismo a cui ci siamo sempre più assuefatti; soprattutto quando è il mondo stesso che non si prende la responsabilità delle proprie azioni e pensa che la soluzione sia dare ai giovani di oggi qualche semplice pacca sulle spalle o evidenziare l’ovvio , parlando di quanto i giovani siano tristi perché non trovano lavoro…
Verrebbe quasi da rispondere: “grazie al cazzo!”
La difficoltà vera sorge quando i giovani non sono abituati a comunicare determinati problemi poiché la comunicazione con l’adulto (senza fare la distinzione tra “boomer” e “millenials” che dopo un po’ comincia ad essere veramente fastidiosa) non riesce a trovare una via, soprattutto quando lo stesso adulto parte già con il presupposto che i giovani di oggi siano tutti dei nullafacenti, oppure che a meno di vent’anni non esistano problemi, dato che non hai alcun tipo di mutuo da pagare (quasi come una dimostrazione che in realtà l’unico significato della vita sia il materialismo e il denaro a prescindere).
Senza parlare di coloro i quali hanno ancora il concetto di “Questi ragazzi non hanno voglia di faticare, preferiscono stare a casa col RdC” e l’immancabile “Ai miei tempi…”; in tutto questo, le istituzioni sembrano fregarsene – in primis la scuola – ecco che incomincia la parte più difficile, che porta alla disattenzione e al disinnamoramento del ragazzo verso quello che sono il propio futuro e le proprie aspettative; tutto questo, unito ad un sistema scolastico che non permette il libero confronto, porta, di conseguenza, all’isolamento sociale autoinflitto ed alla chiusura vera e propria, spesso davanti al cellulare e al computer (umentano così i casi del fenomeno degli Hikikomori), oppure a gettare le proprie giornate in alcolici e sostanze stupefacenti.
Dal punto di vista etico manca la capacità del nostro mondo di saper ascoltare e che non propone alternative ideali e riflessioni giuste. Da un punto di vista organizzativo e istituzionale bisogna riorganizzare tutto un sistema di aiuto e spinta sociale che sia fatto di concretezza e non di menzogne:
-Costruire il più possibile circoli e spazi sociali adibiti alla cultura e al ritrovo dei giovani; soprattutto all’interno dei quartieri popolari che sono le zone più in difficoltà.
Se nelle periferie non si investe in parchi, scuole, palestre, bar, punti ricreativi ecc…quei luoghi diventeranno ciminiere di degrado.
-Costruzione di osservatori sulla salute mentale dei giovani, che sia molto di più del semplice bonus psicologico o del benessere psicofisico tanto sbandierato nell’ultimo anno.
-Educare e responsabilizzare all’interno degli istituti all’utilizzo corretto sulla tecnologia in modo utile, non usando le solite “prediche” per cui una volta si usciva e adesso no.
-Cambiare un certo modo di proporsi nei confronti dei ragazzi quando si affrontano temi delicati come ad esempio: il cyber-bullismo, il bullismo e il revenge porn, portando anche il contesto culturale a cui si va incontro.
-Smettere di affrontare qualsiasi tema con la concezione repressiva fatta di divise e telecamere. Le scuole e le strade non devono essere militarizzate in uno scenario stile 1984: quel metodo ha già fallito e continuerà a fallire.
-Più sport, musica, teatro e autogestioni all’interno delle scuole
CONOSCI TE STESSO!
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