PRIMAVALLE 16 APRILE, UN FUOCO CHE BRUCIA ANCORA!
Siamo a Primavalle, quartiere popolare nel quadrante nordoccidentale della città di Roma, la notte tra il 15 e il 16 aprile 1973. In via Bernardo da Bibbiena 33, al terzo piano, abita la famiglia Mattei, Mario è il referente locale della sezione del Movimento Sociale Italiano e con la moglie Anna Maria ha sei figli.
Sono gli anni in cui “uccidere un fascista non è reato” non è solo uno slogan urlato dalle frange più estreme dell’antifascismo ma un mantra che pervade ogni settore della vita pubblica italiani. Così tre militanti di Potere Operaio si sentono più che legittimati a versare 5 litri di benzina sulla porta di casa della famiglia Mattei e dargli fuoco. Sono le tre di notte e tutti dormono.
L’incendio si propaga velocemente in tutto l’appartamento, Anna Maria con due dei figli più piccoli, Antonella di 9 anni e Gianpaolo di soli 3 anni, fu l’unica che riuscí a fuggire dalla porta principale. Mario si buttò dal balcone e convinse Lucia, 15 anni, a calarsi nel balconcino del secondo piano e fare la stessa cosa e fu in salvo.
Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda della cucina, i fili del bucato del piano antistante rallentarono la sua caduta e finì nel cortile, salvandosi.
Gli ultimi due figli, Virgilio, 22 anni, militante del FUAN e il fratellino Stefano di 8, morirono arsi vivi non riuscendo a gettarsi dalla finestra per scampare alle fiamme. I corpi carbonizzati vennero trovati dai vigili del fuoco vicino alla finestra stretti in un abbraccio.
Gli assassini di Potere Operaio, Achille Lollo, Marino Clavo, Manlio Grillo lasciarono sul selciato una rivendicazione firmata della loro “eroica” azione e da quel momento tutta l’intellighenzia di sinistra si schierò in loro difesa.
Tra i politici troviamo il senatore comunista Umberto Terracini, presidente dell’ Assemblea Costituente e uno dei tre firmatari della Costituzione italiana, il deputato socialista Riccardo Lombardi (anch’egli membro dell’ Assemblea Costituente e capo storico della corrente “autonomista” del suo partito) oltre lo scrittore Alberto Moravia
Il Messaggero era di proprietà dei Perrone, tra i quali Alessandro papà di Diana Perrone, militante di Potere Operaio, che un primo momento forní anche un alibi agli assassini.
Franca Rame insieme a Dario Fo, erano gli esponenti di spicco di Soccorso Rosso, un organizzazione militante che si preoccupava appunto di dare sostentamento ai carcerati e fuggiaschi comunisti. La Rame in una lettera del 28 aprile scrive a Lollo dove è stato inserito nel Soccorso rosso militante e che riceverà denaro dai compagni.
Arriviamo al processo, nel 1975 ben due anni dopo il fatto, che si svolse in un atmosfera di guerra civile, tra i camerati che chiedevano giustizia e i militanti di sinistra che chiedevano il proscioglimento dei tre militanti di Potere Operaio, di cui 2 ancora latitanti. A seguire una delle udienze trovò la morte il 28 febbraio, poco lontano dal palazzo di Giustizia, lo studente greco di destra Mikis Mantakas, freddato con un colpo di pistola alla testa sparato da Alvaro Lojacono che testimoniò a favore degli imputati.
La Pubblica Accusa, chiese la condanna all’ergastolo per strage ma il primo processo si concluse il 15 giugno 1975 con l’assoluzione per insufficienza di prove degli imputati.
Ci si riprova 8 anni dopo con il processo bis, 1981, in questa sede Lollo, Clavo e Grillo furono condannati a 18 anni di carcere per incendio doloso, duplice omicidio colposo, uso di esplosivo e materiale incendiario. Rilasciato in attesa del processo d’appello, ovviamente Achille Lollo fuggì in Brasile grazie all’aiuto economico e strategico di Dario Fò e Franca Rame. Rientrerà in Italia nel 2011 da uomo libero. Manlio Grillo rifugiò in Nicaragua, grazie al supporto di Oreste Scalzone, dirigente di Potere Operaio. Di Marino Clavo si persero le tracce.
La farsa diventa tragedia quando la pena viene dichiarata estinta dalla Corte d’Assise di Roma per intervenuta prescrizione.
Nel 2005, il Corriere della Sera pubblicò un’intervista ad Achille Lollo, ammise la propria colpevolezza e quella degli altri due condannati, pur dichiarando che voleva essere un’azione dimostrativa. Aggiunse che a partecipare all’attentato furono in sei, i tre condannati (che non hanno fatto più di un anno di carcere) più altri tre: Paolo Gaeta, Elisabetta Lecco e Diana Perrone (la figlia del proprietario del Messaggero, quella che cercava gli alibi per i tre). Inoltre ammise di aver ricevuto aiuti per fuggire.
Sempre nel 2005, Franco Piperno, all’epoca dei fatti Segretario nazionale di Potere Operaio, in un’intervista a Repubblica confermò anch’egli che il vertice di Potere Operaio era informato di tutto.
Anche Manlio Grillo ammise, per la prima volta nel 2005, la propria responsabilità e che ricevette aiuti dall’organizzazione per fuggire. Nell’ottobre 2006 affermerà che la cellula terroristica di cui faceva parte era legata alle Brigate Rosse.
Il rogo di Primavalle è una delle tragedie più infami dell’Italia nel secondo dopoguerra, messa in atto e difesa da tutto un mondo che va dai senatori della Repubblica firmatari della Costituente a personaggi di spicco della cultura vincitori di Premi Nobel, dimostrazione che i poteri forti in Italia sono in realtà le più efferate forze criminali.
A Stefano e Virgilio, per mille anni!
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