1 ANNO FA… AARON BUSHNELL

Il 25 febbraio 2024, il soldato dell’aeronautica militare statunitense Aaron Bushnell decise di darsi fuoco davanti alla sede dell’ambasciata israeliana a Washington.
Le sue parole furono chiare e riflessive:
“Non sarò più complice del genocidio. Sto per impegnarmi in un atto estremo di protesta, ma, rispetto a ciò che le persone hanno vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo.”
In quel periodo, infatti, l’operato di Israele aveva già causato più di 28.000 vittime, con il sostegno di Joe Biden e del suo governo.
A un anno di distanza, vogliamo ricordare un gesto disperato, ma non per questo privo di rivendicazioni e sensibilità.
Un’azione che ha tentato di svegliare il mondo, rimasto a guardare di fronte all’ingiustizia e alla barbarie inflitta al popolo palestinese.
Un’azione rimasta inascoltata e volontariamente omessa da tutti i media, sia nazionali che internazionali, troppo impauriti nel mostrare la verità e ammettere la vergogna che continua ancora oggi: i bambini nei sacchi mortuari, i morti di freddo, le carestie, gli sfollati e le loro macerie.
E questi atti hanno nomi e cognomi, quelli dei loro mandanti, di cui si occuperà la storia.
A tutti loro rimane ciò che sostenevamo un anno fa (e che i fatti non hanno smentito): il castello di carte dell’imperialismo occidentale sta crollando, perché è giunto alla fine del suo percorso storico.
Precisiamo: il sacrificio di Bushnell non è minimamente paragonabile a quello di Jan Palach nel 1969 a Praga; tuttavia, ha aperto uno squarcio sulla condizione psicologica dei soldati di oggi e sulla crisi che lo stesso Occidente rifiuta di vedere.
Salutiamo Aaron e la sua memoria con le parole di un suo amico:
“Aaron, hai cambiato per sempre il tessuto del tuo essere.
Lo sai perché per il resto della tua vita lotterai con il pensiero di cosa sacrificherai per la liberazione degli altri.”
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